Il percorso dal Falso Sé al Vero Sé
Ogni essere umano è unico e irripetibile?
Talvolta nel mio studio vengono delle persone che “vivono alla giornata”, che “prendono le cose come vengono”, ossia che scelgono di non scegliere una direzione nella loro vita, di non darsi degli obiettivi di medio o di lungo periodo.
“Non mi occupo del futuro”, dicono. “Si vedrà, la vita si prenderà cura di sé stessa”.
Questo atteggiamento all’apparenza sembra essere molto saggio ma, come ho verificato nella mia realtà professionale e personale, viene adottato da persone che, scegliendo di non scegliere, perdono gradualmente gioia e smalto, sbattono la testa in modo via via più forte contro gli innumerevoli ostacoli che la vita offre generosamente loro e finiscono per sentirsi depresse e amareggiate, avvertendo di aver perso qualcosa di importante durante il percorso.
Tuttavia, ho rilevato delle difficoltà anche nelle persone che hanno sposato uno stile opposto, che hanno scelto degli obiettivi di lungo periodo fin troppo ben definiti.
Queste persone scelgono per sé obiettivi di vita super-dettagliati, rigidi e immutabili. La conseguenza è che, cercando durante il viaggio di tenere sotto controllo tutte le variabili e gli imprevisti, finiscono per esaurire le proprie energie fisiche e psichiche e, se poi non centrano perfettamente il bersaglio, se non riescono a raggiungere esattamente gli obiettivi prefissati, entrano in crisi profonda e si sentono sbagliate.
Falso Sé
Quando gli obiettivi di vita sono rigidi e immodificabili, significa che sono di natura “esterna”, in altre parole si è fatto proprio un progetto altrui preso dall’esterno, da un genitore, dalla propria famiglia, dalla propria società o cultura, e proprio perché non sviluppato da sé, un obiettivo “esterno” è rigido e non può essere modificato da sé.
Sto parlando qui del famoso concetto del “Falso Sé”, introdotto dal noto psicologo americano Donald Winnicott: l’insieme dei valori, dei principi, degli schemi mentali altrui fatti propri a-criticamente dalla persona, specie nell’infanzia.
Gli psicoterapeuti sanno bene che il Falso Sé è una modalità fragile, poco creativa, ad alto rischio di crollo di fronte alle traversie della vita.
Più una persona è governata dal suo Falso Sé e più è abituata ad utilizzare delle modalità di comportamento stereotipate e, di conseguenza, si sentirà particolarmente “persa e in balia”, se le circostanze della vita si faranno ostiche o anche solo imprevedibili. Più una persona è governata dal suo Falso Sé e più sarà soggetta ai sintomi psicologici che spesso portano le persone a frequentare lo studio dello psicoterapeuta.
Ma comprendere il Falso Sé e liberarsene è un processo lungo e faticoso. Così alcune persone, invece di lavorare per liberarsi dal Falso Sé ed individuare il proprio Vero Sé, cedono all’illusione e alla tentazione di “vivere alla giornata”. Visto che riflettere è faticoso, si sceglie di non riflettere affatto.
In questi casi più che di un Falso Sé, parlerei di un “Anti Falso Sé”: la persona abbandona la speranza di auto-definirsi e si lascia trascinare dalla corrente, facendo spesso l’esatto contrario dei condizionamenti del Falso Sé oppure bloccando ogni attività ed auto-espressione.
Vero Sé
Che fare dunque?
Immagino che il lettore abbia già intuito la risposta: darsi obiettivi “interni”, che rispecchino la propria interiorità, che siano definiti in base alla propria autenticità. Obiettivi veri, per sé stessi.
E questo è proprio il compito di ogni psicoterapia: aiutare le persone a realizzare, in piccola o in larga parte, ciò che è bene per sé, il proprio individuale progetto, il proprio Vero Sé nella terminologia di Winnicot, ciò che l’Analisi Transazionale chiama il "Bambino Libero" e Carl Gustav Jung il "Puer Aeternus".
Anche in letteratura si parla spesso di questo viaggio dal Falso Sé al Vero Sé, tipico del genere letterario denominato Romanzo di formazione.
I romanzi di formazione raccontano l’evoluzione del personaggio principale che, affrontando le diverse sfide, giunge a maturare e a sviluppare qualità e virtù che prima non possedeva. Arriva e a conoscersi meglio. Alla fine del suo viaggio, in genere, il protagonista raggiunge (o si avvicina a) sé stesso.
O come direbbe Francesco Petrarca, uno dei padri fondatori della letteratura italiana: “restituisce sé a sé stesso”.
Un compito universale che, presto o tardi, tutti sono chiamati a svolgere. Ma non c’è fretta…
Perché ci perdiamo?
Alcune persone sono a proprio agio con ciò che è stato scelto per loro dagli altri, si trovano bene col proprio Falso Sé e non si pongono nemmeno il problema del proprio Sé o della propria identità. Non ci pensano proprio.
Altre persone, invece, sentono che manca loro qualcosa, sentono il bisogno di ritrovarsi, di “restituirsi a sé stesse”.
Se appartenete alla prima categoria di persone, smettete immediatamente di leggere questo articolo: inutile turbarsi con questioni non richieste.
Se, invece, avvertite il bisogno di comprendervi meglio, sicuramente vi interesserà conoscere la risposta alla domanda: perché le persone perdono il proprio Vero Sé?
Come detto, ci si può perdere in due modi:
- Accettando un progetto di vita non proprio (Falso Sé).
- Respingendo in toto qualsiasi forma di Sé, ossia scegliendo di non avere nessun progetto e di perdersi nella vita (Anti Falso Sé).
D’accordo, ma il lettore più scaltro si sarà accorto che in realtà non ho risposto alla domanda, ho solo descritto “come” ci si perde, non il perché.
Dunque, ancora una volta: perché le persone perdono il proprio Vero Sé? Perché non siamo “noi stessi”?
L’intera situazione è piuttosto bizzarra, almeno in apparenza. Nasciamo senza un manuale di istruzioni, da genitori privi anch’essi di un manuale di istruzioni, né per gestire sé stessi, né per essere genitori. È inevitabile procedere a tentoni, prendere un pezzo qui e uno lì e finire coll’acquisire un Falso Sé.
Molti pensatori, filosofi, maestri, psicologi, pedagoghi hanno cercato di capirci qualcosa.
Tra questi Martin Heidegger, l’importante filosofo tedesco del XX secolo della corrente esistenzialista.
L’esistenzialismo è quella branca della filosofia che ha tentato di rispondere alle domande importanti: “Cosa significa essere un essere umano?”, “Come è possibile vivere una vita degna di essere vissuta?”.
Nella sua opera principale “Essere e tempo” (che sinceramente sconsiglio di leggere, in quanto eccessivamente cervellotica), Heidegger ha descritto l’essere umano come un “progetto gettato”.
“Progetto”, perché detentore di un piano unico, personale, individuale.
“Gettato”, perché in apparenza senza direzione, né sorgente. Una creatura sprovvista di un manuale di istruzioni. Un essere umano, essendo “gettato” nell’esistenza, può facilmente sentirsi perso, solo e senza direzione. Anche se in realtà possiede altresì la dimensione del “progetto”, questa viene spesso smarrita.
La mia esperienza clinica e personale conferma questa visione. Accanto all’intrinseca fragilità dell’essere umano, che facilmente può entrare in crisi, vi è il fatto che ciascuno, a ben osservare, è un’opera d’arte a sé. Ogni individuo è assolutamente unico e detentore di una propria verità e specialità. Tuttavia spesso, quest’opera d’arte viene persa, smarrita e sostituita da un Falso Sé o da un Anti Falso Sé.
Tutti gli esseri umani posseggono un Vero Sé, un “Bambino Libero” all’interno di sé stessi, quel principio centrale e misterioso in cui sono custoditi i sogni, i desideri e le passioni autentiche di ogni individuo.
Le persone che si trovano lontane o addirittura tagliate fuori dalla propria individuale autenticità, dal proprio Vero Sé, possono soffrire di questa situazione e manifestare i classici sintomi psicologici: ansia, depressione, crisi di rabbia incontrollate, dipendenze comportamentali e da sostanze, atti di autolesionismo o di auto sabotaggio, e così via.
Ma ancora una volta, il lettore più scaltro, avrà notato che continuo ad eludere la domanda: “Perché ci si perde da sé stessi?”. In effetti, non spiego il perché, ma descrivo “come” ciò avvenga. La risposta, in realtà, è che nessuno davvero conosce il perché. Questo smarrimento avviene, è un avvenimento che si ripete con la nascita di ogni essere umano, un fatto universale descritto da psicologi, filosofi, mistici e artisti di ogni epoca.
Un mistero chiamato vita
In una certa misura, tutti gli esseri umani si allontanano dal proprio Vero Sé, questo l’abbiamo capito: è fisiologico e fa parte del mistero della vita.
Nessuno nasce già conoscendosi, radicato nel suo Vero Sé senza perderlo mai.
Ognuno di noi, all’inizio della propria vita si è “acculturato”, ossia ha assunto i valori della propria cultura e della propria famiglia, e in tal modo si è allontanato da suo Sé. Chi più, chi meno. Qualcuno è stato fortemente spinto a perdersi e a perseguire obiettivi e progetti estranei. Altri, più fortunati, sono cresciuti all’interno di culture poco opprimenti o hanno avuto genitori poco invadenti e più attenti ad assecondare i tratti che hanno liberamente espresso da bambini. Tuttavia, anche questi ultimi hanno dovuto, in una qualche misura, adattarsi all’ambiente e perdere un po’ del contatto con sé stessi.
Ogni essere umano ha il compito di cercare di realizzare la propria autenticità nel corso della propria vita. Se questo compito non ha inizio o si blocca cammin facendo, la persona inizierà – prima o poi – a soffrire. Se, col tempo, questa sofferenza raggiungerà un sufficiente grado di intensità, la persona si sentirà stimolata a mettersi in discussione e a iniziare (o a riprendere) il percorso di “restituire sé a sé stessa”.
Perché? Non si sa. Quello che si osserva è che coltivando il proprio Vero Sé, le persone stanno meglio e sviluppano nuove e maggiori qualità. Quindi, lasciamo perdere i perché del Falso Sé e concentriamoci su come procedere sul percorso dal Falso Sé al Vero Sé.
Il percorso verso il Vero Sé
Nel percorso verso il Vero Sé, si devono fare due cose:
- Ribellarsi al proprio Falso Sé costituito da tutto ciò che nella nostra psiche non è autentico: le credenze, gli obiettivi di vita, i modi di fare, gli schemi automatici che abbiamo inavvertitamente fatti nostri a partire dall’esterno.
- Cercare e coltivare il proprio Vero Sé, ossia il proprio “progetto” individuale.
C’è dunque un processo, una strada da percorrere che porta dall’essere umano “normale” all’essere umano “evoluto”.
Usando questi termini sono ben lungi da ogni atteggiamento giudicante: siamo tutti sulla stessa strada! Ed in quanto psicologo, non mi riferisco ai concetti religiosi di salvazione o di realizzazione spirituale.
No, qui sto parlando di un piano meno ambizioso, di una condizione psicologica in cui si è coscienti della propria individualità e si agisce in modo, il più possibile, costruttivo per sé e per gli altri.
La necessità di questa evoluzione, di questo viaggio interiore (ed esteriore), è stata sottolineata da molti e da molto tempo. Ad esempio, nella cultura dell’antica Grecia si parlava di “anthropos” (potenziale) e di “anér” (l’uomo compiuto, l’adulto vero e proprio).
Numerosi studiosi di psicologia hanno approfondito e teorizzato questo processo evolutivo individuale. Ricordo qui il percorso verso “l’auto-attualizzazione” (in inglese: “self-actualization”), descritto dal grande psicologo americano Abraham Maslow.
In base alle sue ricerche, Maslow ha evidenziato che in ogni uomo c’è una spinta a raggiungere condizioni di soddisfazione interiore sempre maggiori, un impulso verso ciò che lui chiamava “l’auto-attualizzazione”.
Secondo questo autore, il richiamo all’auto-attualizzazione, sebbene possa essere ostacolato dalle condizioni esterne, non smetterà mai di farsi sentire, anche nelle peggiori situazioni di vita. Nella visione di Maslow, dunque, ogni essere umano è in cammino verso la soddisfazione di bisogni sempre più autentici e profondi o, nella terminologia di questo articolo, verso la realizzazione del proprio Vero Sé.
Tale cammino procederebbe secondo una sequenza di bisogni piuttosto prevedibile. Questa sequenza, detta “Piramide dei bisogni di Maslow”, ha inizio dai bisogni più fisici e materiali, per arrivare poi ai bisogni più astratti, psicologici, cognitivi, estetici e di trascendenza.
Com’è fatta una persona in contatto col suo Vero Sé?
A questa domanda lascio rispondere Maslow.
L’opera principale di Maslow è Motivazione e personalità del 1954, un libro molto interessante, che consiglio però (e vivamente) solo agli appassionati di Psicologia perché, anche se è un libro pieno zeppo di intuizioni e di riflessioni ancora oggi originali, è scritto in modo troppo tecnico per essere un testo divulgativo.
In questo libro vengono descritte le caratteristiche degli individui che hanno raggiunto un buon livello di auto-attualizzazione (nella terminologia di questo articolo: sono a buon punto nel percorso dal Falso Sé al Vero Sé):
- La capacità di valutare con accuratezza fatti e persone senza farsi influenzare dai propri stati emotivi e dai propri preconcetti.
- Un atteggiamento di generale accettazione nei confronti di sé stessi, degli altri e del mondo.
- Una grande capacità di essere spontanei e naturali, senza essere necessariamente anticonvenzionali o stravaganti.
- Un’elevata capacità di focalizzarsi sui problemi, di essere assorbiti in ciò che si fa, anche per un lungo periodo di tempo.
- Uno spiccato desiderio di privacy, che non esclude la capacità di intessere e di godere di soddisfacenti relazioni sociali.
- Autonomia di pensiero: la capacità di riflettere in modo critico e indipendente. Minor necessità di riconoscimento da parte degli altri.
- La capacità di apprezzare in modo sempre nuovo le cose belle della vita, con stupore, piacere e meraviglia, comprese le cose ordinarie che per le altre persone possono invece apparire scontate, come ad esempio: un fiore, un tramonto, un neonato, la bellezza del proprio coniuge.
- Una frequenza di peak-experiences più elevata della media. Esperienze estetiche, esperienze estatiche.
- Un chiaro senso di identificazione con la specie umana. Il desiderio di essere utili per il prossimo e la società. Un senso di fratellanza con gli altri esseri umani.
- Relazioni interpersonali sane, amorevoli, gratificanti, profonde e solide, anche se poche e selezionate: “Non ho tempo per molti amici. In realtà nessuno ne ha, se si vogliono avere dei veri amici”. Meno “utilizzatore degli altri”, più per lo scambio e per l’interdipendenza.
- Un atteggiamento “democratico” (contrapposto ad uno autoritario). Di base, il rispetto viene offerto a chiunque, solo per il fatto di appartenere al genere umano.
- Alti standard morali, un atteggiamento altamente etico: queste persone sentono nettamente cosa è giusto per loro, anche se può non coincidere col senso morale diffuso e socialmente accettato.
- Uno spiccato senso dell’umorismo, che però non è mai ostile verso le altre persone.
- Marcate creatività e originalità che si manifestano nei più diversi aspetti della vita, anche in quelli più comuni, non necessariamente nello scrivere libri o dipingere. Una inventività che assomiglia a quella dei bambini, che sono capaci di esprimere la propria fantasia in qualsiasi situazione.
- La capacità di resistere al processo di “acculturazione”: queste persone non fanno propri i valori, i comportamenti e gli usi di una cultura solo perché ne fanno parte. Piuttosto, scelgono di ottemperare alle richieste culturali esteriori, pur mantenendo una libertà interiore e un distacco che permettono loro di definire e di scegliere le proprie norme e i propri valori personali, non apparendo esternamente come dei “ribelli”.
- Sono persone imperfette che, di tanto in tanto, mostrano esteriormente dei comportamenti distruttivi. Possono, a volte, apparire fredde, sgarbate, troppo dure, estremamente irritate e perfino insultanti. Siamo tutti in cammino, non esistono esseri umani perfetti sul pianeta Terra!
- La capacità di saper attribuire valore alla diversità. Le differenze di gusti, di comportamenti, di culture tra le persone sono accettate e apprezzate. Apprezzando anche la propria diversità, la persona è meno in conflitto con sé e con le situazioni esterne.
- Un pensiero fluido, non dicotomico, capace non solo di apprezzare le sfumature di grigio, ma soprattutto i diversi colori della realtà, piuttosto che leggerla unicamente come nera o bianca. Nelle cose e nelle persone vengono ammesse le contraddizioni. Una persona può essere percepita allo stesso tempo buona e cattiva, saggia e ingenua, matura e immatura, adulta e bambina, e così via.
Ribellarsi al Falso Sé
In estrema sintesi, abbiamo visto che il viaggio dal Falso Sé al Vero Sé si compie su due binari: ribellandosi al Falso Sé e cercando/coltivando il Vero Sé.
Ribellarsi al Falso Sé è un processo lungo e duro, che richiede la forza e la pazienza di individuare all’interno della propria psiche quelle convinzioni, quegli schemi comportamentali, quei vissuti emotivi conflittuali che, venendo dall’esterno, non rappresentano la nostra autenticità.
Ad esempio, il figlio del medico che sceglie di iscriversi alla facoltà di medicina può averlo fatto perché fare il medico è qualcosa che rispecchia il suo Vero Sé, la sua vocazione, oppure potrebbe essere un condizionamento frutto delle aspettative familiari e quindi un’espressione del suo Falso Sé.
Come discriminare questa differenza? Come distinguere ciò che davvero riflette noi stessi dagli schemi psicologici automatici imparati da mamma e papà?
La cosa può essere fatta da soli o con l’aiuto di qualcuno:
- Da soli, mediante la riflessione autonoma, l’investigazione interiore, lo studio, la scrittura di un diario, la lettura di libri.
Vi sono innumerevoli libri capaci di aiutarci a individuare il nostro Falso Sé. Io consiglio: “Nati per vincere”, il grande classico degli anni ’70 adatto a chiunque voglia capire meglio sé stesso mediante l’approccio dell’Analisi Transazionale.
- Talvolta il Falso Sé è troppo denso e gli autoinganni troppo radicati e si ha bisogno di essere aiutati da qualcuno per individuare gli schemi psicologici automatici di cui siamo profondamente inconsapevoli.
Tipicamente svolge questo ruolo lo psicoterapeuta, ma possono essere di stimolo e di sostegno anche altre persone: un insegnante, una guida spirituale, o persone “non titolate” ma comunque sufficientemente “sagge”, ossia che abbiano compiuto almeno una parte di questo viaggio.
Ribellarsi al Falso Sé è un processo faticoso, che solitamente dura anni e che può portare la persona a sentirsi smarrita. Tutto ciò è normale, ma è un prezzo che vale la pena di pagare per liberarsi del Falso Sé e realizzare sempre maggiormente il proprio Vero Sé.
Scoprire il Vero Sé
In questo viaggio, non è sufficiente solo “togliere” ciò che non ci appartiene, occorre anche:
- Scoprire ciò che siamo veramente.
- Trasformare questa consapevolezza in comportamenti pratici.
Fanno parte del Vero Sé: le nostre autentiche inclinazioni, i nostri profondi e veritieri desideri, le nostre preferenze, prima che esse vengano influenzate e deviate dall’ambiente durante gli anni dello sviluppo.
Fa parte del Vero Sé ciò che si manifesta spontaneamente e naturalmente nel bambino prima che il mondo se ne accorga e lo riconosca come qualcosa di giusto o di sbagliato.
Il Vero Sé ha a che vedere con le persone che si amano davvero, con gli amici con cui si è realmente in sintonia, con il partner che si sceglie con l’anima. Il Vero Sé si esprime nelle scelte lavorative basate sulla propria vocazione, nell’entusiasmo di vivere in un luogo e in una casa per cui si provano sentimenti di gratitudine. Il Vero Sé si manifesta nello stile di vita che ci soddisfa profondamente, che può essere intenso e frenetico per qualcuno o tranquillo per qualcun altro.
Il Vero Sé si esprime, se lasciato libero, in forme sempre diverse: è imprevedibile. Il Vero Sé evolve, muta e cambia col tempo. È autenticità in evoluzione.
Per trovare il proprio Vero Sé, occorre innanzitutto decidere coscientemente di volerlo fare.
Occorre decidere di voler destinare una parte delle proprie energie e del proprio tempo a riflettere seriamente e gioiosamente su di sé.
Nessuno può trovare il Vero Sé di un altro individuo, è la persona stessa che ha bisogno di esplorarsi e di comprendersi, che ha bisogno di riflettere onestamente con sé stessa e su sé stessa.
Questa riflessione può essere eseguita da soli, ad esempio leggendo un libro ispirante o tenendo un diario. O può essere svolta con un’altra persona, come ad esempio con l’aiuto di un amico che ci conosca bene e che non abbia “peli sulla lingua”.
Anche in psicoterapia è possibile lavorare per scoprire il proprio Vero Sé. A questo scopo gli psicoterapeuti sono (o, per lo meno, dovrebbero essere) formati a cogliere le contraddizioni della persona che parla di sé, ossia le auto-illusioni che esprime quando è confusa o in conflitto con sé stessa.
Altre professioni che mirano alla scoperta del Vero Sé sono i consulenti di carriera e, naturalmente, i maestri e gli insegnanti sia scolastici sia extra-scolastici. Nel mio caso, ad esempio, oltre che effettuando diversi percorsi di psicoterapia, sono stato aiutato ad esplorare il mio Vero Sé anche da un insegnante di arti marziali.
Una parte del Vero Sé riguarda la vocazione, ossia cosa fare delle proprie energie attive in un progetto di lungo termine. Per aiutare il lettore a esplorare questa parte del Vero Sé, ho scritto la breve guida: “Come trovare la propria vocazione”, che può essere liberamente scaricata da questo sito web. La guida ha una finalità pratica e presenta degli esercizi che, se concretamente svolti, possono aiutare a riflettere sul proprio Vero Sé e ad individuare la propria vocazione.
Il figlio del medico del nostro esempio, se riflettesse adeguatamente, potrebbe scoprire, ad esempio, di essere autenticamente vocato ad un’altra professione, all’imprenditoria, ad insegnare filosofia, o ad una vita artistica… Chissà.
Coltivare il Vero Sé
Trasformare il proprio Vero Sé in realtà, fa parte di quello che gli psicologi tipicamente chiamano la “Gestione di Sé” ed è un capitolo a sé stante. È il processo per cui si fa qualcosa a livello pratico per esprimere e trasformare in azioni concrete la propria autenticità, la propria vocazione, i propri desideri profondi.
Il figlio del medico, una volta compreso di essere vocato all’insegnamento della filosofia, ad esempio, avrebbe poi bisogno di compiere tutte le azioni conseguentemente necessarie: studiare filosofia all’università, conseguire l’abilitazione all’insegnamento, partecipare a convegni e a seminari, aprire un blog di filosofia, e così via.
Tale traduzione nel concreto ovviamente non si produce da sola, non succede passivamente, ma piuttosto richiede la decisione consapevole di voler rischiare di “lasciare la strada vecchia per la nuova”. Una decisione che richiede coraggio e capacità di perseverare.
Compito di un percorso di psicoterapia può essere, dunque, quello di aiutare la persona a “gestire il Sé”, ossia a mettere in pratica ciò che ha capito del Vero Sé nelle sedute.
Possono essere validi sostegni per attuare la “gestione di Sé” i seguenti libri di auto-aiuto:
- “Gestione del tempo” di Brian Tracy: un libro tanto piccolo quanto valido nell’aiutare a gestire correttamente il tempo, sia a livello personale sia a livello professionale.
- “Come ottenere il meglio da sé e dagli altri” di Anthony Robbins: ricchissimo di spunti e di strategie pratiche.
Implicazioni per la psicoterapia
Premesso che la funzione della psicoterapia è sempre quella di aiutare la persona a fare dei passi – uno solo o mille, non è questo il punto – lungo la strada che va dal Falso Sé al Vero Sé, ne consegue che:
- I sintomi psicologici non possono essere solamente annullati e superati.
Mi dispiace deludere quelle persone (tante) che si rivolgono agli psicoterapeuti lamentando l’insorgere di crisi ansiose, di attacchi di panico, di stati angosciosi e così via, e che chiedono di poter tornare “come ero prima”, di “togliere l’ansia”. Non è possibile rimuovere un sintomo psicologico e basta.
Non siamo delle automobili a cui sostituire un pezzo quando questo non funziona più: il cammino di psicoterapia, se da una parte porta a stare meglio, dall’altra conduce anche ad essere “meglio di prima”, più integri, con maggiori qualità, più saggi, più autentici e in contatto con sé stessi.
In altre parole, la risoluzione o la riduzione della sofferenza psicologica che si perseguono in un percorso di psicoterapia, sono sempre accompagnate da un maggiore contatto con il proprio Vero Sé.
Non vi può essere guarigione psicologica senza crescita psicologica.
- Il cammino dal Falso Sé al Vero Sé è virtualmente infinito.
Non ho mai incontrato nessuno che fosse completamente realizzato nel suo Sé, che vivesse sempre a contatto col suo Vero Sé e non presentasse tracce del suo Falso Sé.
Affermare che questo cammino sia infinito, non significa dire che il percorso di psicoterapia debba durare tutta la vita, o decine di anni. Significa dire che in psicoterapia se ne farà “un pezzetto”, ossia solo quello scatto di crescita che la persona ha bisogno di fare in quel momento della sua vita.
In seguito la persona continuerà, quando avrà nuovamente bisogno di liberarsi di altre parti del Falso Sé e di integrare altri aspetti del Vero Sé, con gli strumenti acquisiti durante il percorso di psicoterapia, con un nuovo percorso di psicoterapia o con nuove e diverse modalità.
Più ci si avvicina al Vero Sé, più la nostra vita diviene significativa. Più la nostra vita diviene significativa, più diventiamo capaci di affrontare le difficoltà mantenendo uno stato di equilibrio e di centratura. Di conseguenza, lettore che mi hai seguito fin qui, ti invito a mantenere la tua vita all’interno del percorso dal Falso Sé al Vero Sé: fai in modo che sia significativa, che sia degna di essere raccontata in un “romanzo di formazione”.
O, come dicevano gli antichi greci, che conduca l'essere umano ordinario (anthropos) a divenire l’uomo-eroe (anér) o la donna-eroina (gyné) che, paradossalmente, sei già.