Adriano Stefani Psicologo

Come gestire lo stress e migliorare la qualità della vita

Imparare a vivere una vita gratificante nonostante gli inevitabili momenti di stress.

Come gestire lo stress e migliorare la qualità della vita

Lo stress, o meglio la “reazione di stress”, è la naturale reazione psico-fisica rispetto a un problema o a una minaccia. Tipicamente, a fronte di una difficoltà, il nostro corpo si prepara all’azione incrementando la pressione sanguigna, accelerando la frequenza cardiaca, producendo gli ormoni che veicolano il messaggio di allarme: “Tutti ai posti di combattimento! Tenersi pronti all’azione!”.
 
Dal punto di vista psicologico, “sotto stress”, la psiche si prepara a rispondere al problema con un incremento delle capacità mentali di attenzione e di focalizzazione. Le emozioni – più che altro di paura e di rabbia – vanno nella direzione della tensione mettendo la persona in uno stato emotivo di allerta allo scopo di stimolarlo ad affrontare il problema.
 
Le reazioni psichiche e fisiche ci aiutano ad essere vigili e a mantenere la prontezza per un certo periodo di tempo.
 
Questo meccanismo, la “reazione di stress”, fa parte del corredo biologico dell’animale che siamo, ossia l’Homo Sapiens. E, come è prevedibile, anche altri animali mostrano reazioni di stress più o meno simili a quelle umane. Il meccanismo della reazione di stress aiuta gli animali – noi compresi – ad adattarsi al mondo, permettendo di affrontare nel minor tempo possibile le situazioni minacciose.
 
Dal punto di vista psico-fisiologico non vi è differenza tra la "reazione di stress" dell’uomo dell’età della pietra e quella dell’uomo di oggi. Questo significa che quando l’uomo paleolitico incontrava un orso aveva una reazione psico-fisica di stress simile a quella che oggi sperimenta l’uomo moderno quando non ha i soldi per pagare il mutuo della propria casa.
 
E qui sorge il problema, perché Madre Natura ha predisposto la “reazione di stress” dell’Homo Sapiens al fine di permettergli di affrontare situazioni minacciose di breve durata (l’orso, un temporale, lo scontro con un altro clan), mentre l’uomo moderno vive situazioni di minaccia distribuite nel tempo.
 
Le circostanze minacciose dell’uomo paleolitico avevano solitamente una durata di qualche ora, o al più di qualche giorno.  Gli “stressor” (ossia i fattori di pericolo che producono una “reazione di stress”) dell’uomo moderno, invece, sono per lo più di lunga durata: il mutuo da pagare, le malattie croniche (i nostri antenati paleolitici avevano una aspettativa di vita di 35 anni e non soffrivano di patologie della durata di decenni, come il diabete e le cardiopatie), la condizione cronica di disoccupazione o di precariato, le tasse e così via.
 
L’uomo di oggi, quindi, tende a sperimentare “reazioni di stress” croniche che, alla lunga, risultano dannose per la sua salute fisica e psicologica.
 
 
La qualità della vita e le sue dimensioni
Raggiungere un’alta qualità di vita è un obiettivo di lungo termine che implica azioni su diversi livelli.
 
E’ necessario prendersi cura della propria salute fisica attraverso una corretta alimentazione, una appropriata quantità e qualità di attività fisica e un giusto riposo.
 
E’ importante occuparsi anche della salute psicologica al fine di avere una attività mentale-emotiva il più possibile ordinata e serena.
 
Infine, occorre gestire saggiamente le fonti di stress esterne: le relazioni interpersonali, il lavoro, gli aspetti economici, la gestione dei figli, le tensioni sociali del luogo dove si vive, e così via.
 
Vi sono dunque tre dimensioni di cui tener conto:

  1. La dimensione fisica: il corpo con i suoi bisogni.
     
  2. La dimensione psicologica: il funzionamento mentale-emotivo che si basa sugli apprendimenti (positivi e negativi) passati.
     
  3. Le fonti di stress esterne: tutto ciò che dall’esterno può perturbarci.

La malattia – fisica o psicologica – si manifesta allorché vi sia uno squilibrio eccessivo su uno o più delle tre dimensioni.
 
Naturalmente, in quanto psicologo mi occupo espressamente della malattia dal punto di vista psicologico. Per quanto mi riguarda, dunque, posso affermare che affinché si sviluppi un disturbo psicologico la persona deve presentare innanzi tutto uno scompenso relativo alla dimensione psicologica, ossia deve aver sperimentato nel suo passato alcuni traumi psicologici. Questi però non si trasformano automaticamente in un disturbo psicologico, ma c’è bisogno che le condizioni esterne attuali richiamino in qualche modo i traumi psicologici e li “ri-attivino” (ad esempio, incontrare all’università un professore che si comporta nello stesso modo severo e punitivo in cui da piccoli si comportava un genitore, può ri-attivare il senso di vulnerabilità e di panico di allora). E anche il corpo ha la sua importanza perché un disturbo psicologico può essere fortificato e reso stabile da una condizione di disequilibrio fisico
 
Utilizzando la metafora del “seme che germoglia” è possibile rappresentare visivamente questo concetto nel modo seguente:
 


Dimensioni della malattia


Il disturbo psicologico (rappresentato dalla pianta) si manifesta solo se la persona presenta dei traumi psicologici passati (il seme). Ma attenzione, il seme è la condizione necessaria affinché nasca la pianta, ma non ne è la condizione sufficiente: per poter germogliare il seme ha bisogno dell’acqua. In altre parole, affinché si manifesti un disturbo psicologico c’è bisogno che uno stress esterno (la pioggia) simile ad un trauma psicologico passato ri-attivi tale trauma (il seme).
 
Talvolta è sufficiente una sola goccia di acqua per far germogliare un seme. Fuor di metafora, se la persona ha numerosi e diversi traumi psicologici nel suo bagaglio, può bastare anche solo una piccola sollecitazione esterna per attivare un sintomo psicologico. Ad esempio, una piccola difficoltà esterna può far precipitare una persona in un forte vissuto ansioso o di panico se ha molti traumi psicologici non elaborati.
 
Una condizione fisica problematica (nella metafora, la terra) può aggravare la situazione. Un disturbo psicologico che altrimenti sarebbe lieve, può aggravarsi in caso di squilibrio fisico. Se la persona trascura il proprio corpo, mangia in modo disordinato, non riposa adeguatamente, non fa attività fisica, il disturbo psicologico può peggiorare e cronicizzarsi (la pianta cresce e mette radici).
 
Infine, è utile sottolineare che un fortissimo stress esterno, ad esempio una guerra o un terremoto (nella metafora, una pioggia abbondante), ha molte probabilità di innescare un disturbo psicologico (la pianta che germoglia), anche se la persona è in piena salute fisica (nella metafora: non vi è terra).
 
Tutto ciò premesso, ne consegue che, al fine di coltivare il proprio benessere generale, è importante occuparsi non solo degli aspetti fisici. Né è sufficiente occuparsi degli aspetti fisici congiuntamente a quelli psicologici. E’ importante occuparsi anche delle condizioni di vita esterne e dei relativi fattori di stress.
 
Come abbiamo visto, purtroppo, lo stile di vita moderno è caratterizzato da una condizione di stress cronico. Di conseguenza, è di estrema importanza imparare a gestire con efficacia gli inevitabili “stressor” della società moderna: al fine di limitare la quantità di pioggia che, se abbondante, rischia di far germogliare i semi del disturbo psicologico, anche quelli più piccoli e nascosti.
 
In questo articolo mi occupo di descrivere alcune strategie utili per gestire le situazioni stressanti e le relative “reazioni di stress”, in modo che le “reazioni di stress” siano produttive, ci aiutino ad affrontare i problemi e non si trasformino in causa di malattia. Non mi occupo, invece, degli aspetti psicologici, degli apprendimenti passati, dei traumi infantili o recenti e di come questi danneggino il benessere di oggi, temi che ho affrontato in altri articoli in tema di psicoterapia.
 
 
Fonti di stress e reazioni di stress
Un conto sono le reazioni psico-fisiche ad una situazione problematica, ossia le “reazioni di stress” (ad esempio, la condizione di tensione emotiva e fisica subito dopo un incidente automobilistico). Un altro conto sono le “fonti di stress” (gli “stressor”) che consistono nelle situazioni problematiche vere e proprie (ad esempio, l’incidente d’auto).
 
Di conseguenza, esistono due tipi di strategie per gestire al meglio lo stress:
 

  • Le strategie focalizzate sulle “reazioni di stress”, che mirano a ridurre la fatica emotiva e fisica che derivano dal dover affrontare un problema.
     
  • Le strategie focalizzate sulle “fonti di stress”, che mirano a intervenire direttamente sulle cause dei problemi (gli “stressor”) al fine di eliminarle o di ridurle.



Gestire la “reazione di stress”
Non sempre è possibile utilizzare le strategie focalizzate sugli “stressor” perché talvolta le situazioni esterne non possono essere cambiate, almeno nel breve o nel medio periodo. Ad esempio, possono essere necessari molti anni per estinguere un mutuo, oppure può non essere possibile allontanarsi da un collega di lavoro che ci dà sui nervi. In questi casi – quando lo stress è inevitabile – è utile imparare alcune strategie finalizzate a ridurre l’impatto della “reazione di stress” in modo che non risulti soverchiante.
 
Le strategie focalizzate sulla gestione delle “reazioni di stress” mirano a ridurre le componenti psicologiche e fisiologiche dello stress e sono – fortunatamente – molteplici. Ciascuno ha la possibilità di individuare la strategia che meglio funzioni per sé:
 

  • Meditazione. La pratica della meditazione permette di sviluppare la capacità di essere presenti a se stessi, di osservare i propri pensieri e le proprie emozioni senza farsi coinvolgere e senza credere alle preoccupazioni eccessive e ai pensieri catastrofici che accompagnano le “reazioni di stress” incontrollate. In questo modo il meditante riesce a fare “un passo indietro”, a valutare con distacco la propria situazione e a scegliere una risposta produttiva (anziché farsi prendere dal panico).
     
  • Esercizio fisico. Camminare, fare jogging, tagliare la legna, praticare yoga, ogni attività fisica se fatta con presenza mentale – in modo meditativo – permette di scaricare le tensioni fisiche e di prendere un momento di “riposo mentale”: il corpo si muove, i muscoli lavorano, mentre la psiche si ricarica. L’esercizio fisico può essere un modo molto efficace – rapido ed economico – per gestire lo stress quanto questo è eccessivo.
     
  • Ridefinizione cognitiva. In ogni situazione problematica ci sono sempre degli aspetti positivi nascosti. Ridefinire un problema non significa “prendersi in giro” negandone gli aspetti faticosi, piuttosto significa sforzarsi di vederne i vantaggi (grandi o piccoli che siano) in modo da mantenersi motivati e attivi.
     
  • Darsi piacere. Coltivare il proprio hobby, telefonare ad un amico, giocare ad un videogioco, guardare la televisione, fare volontariato, ascoltare della musica, leggere un libro e così via. Ogni persona ha i propri modi di darsi piacere. Nei momenti di stress, quando la vita sembra essere una fatica continua, è importante, anche solo per qualche minuto, coltivare intenzionalmente dei momenti di piacere.

 
L’utilità di queste strategie consiste nell’aiutare la persona a tenere sotto controllo il proprio livello di “reazione di stress” mentre è attiva e impegnata nell’affrontare i propri problemi.
 
Tuttavia, a volte, ho osservato un cattivo utilizzo di queste strategie allorché la persona scambi il mezzo per il fine e utilizzi tali strategie come fini a sé stesse, smettendo di impegnarsi per risolvere i propri problemi. Ad esempio, una persona frustrata dal fatto di non avere relazioni intime e significative potrebbe gettarsi anima e corpo nella pratica della meditazione o di uno sport, trascurando di affrontare il vero problema: la sua condizione di isolamento relazionale. Oppure potrebbe continuare ad isolarsi ridefinendo cognitivamente la propria situazione: “Meglio così, mi godo la mia libertà e poi gli uomini/le donne sono tutti/e uguali …”. Oppure potrebbe dimenticare i propri bisogni dandosi piacere a oltranza, magari stordendosi con i videogiochi, con l’alcol, con la lettura dei romanzi e così via.
 
Il rischio è dunque quello di alienarsi da sé, ossia di trascurare i propri bisogni autentici e di attaccarsi ad una strategia di gestione dello stress, invece di utilizzare tale strategia per sostenersi mentre si affrontano le difficoltà.
 
 
Gestire le “fonti di stress”
Le strategie focalizzate sulla gestione delle “fonti di stress” intervengono sulle cause che provocano lo stress.

Eliminare uno “stressor”, ossia rimuovere la causa dello stress (ad esempio, lasciare un lavoro frustrante, porre fine ad una relazione di coppia deleteria, etc.) produce una immediata e ovvia riduzione di stress.

Nei casi in cui eliminare la causa dello stress non fosse possibile, potrebbe essere invece utile gestire lo “stressor” allo scopo di ridurne l’impatto (attenzione, sto parlando di gestire lo “stressor”, non la “reazione di stress”, cosa di cui ci siamo occupati prima).
 
Di seguito descrivo – molto brevemente – alcune strategie utili a gestire quelle “fonti di stress” che non possono essere eliminate:
 

  • Il lavoro.
    Nella società in cui viviamo la dimensione lavorativa è spesso accompagnata da una condizione di “stress cronico”. Orari lunghi, responsabilità, relazioni conflittuali con i colleghi, mansioni faticose o complesse rendono lo svolgimento del lavoro impegnativo e stressante nel lungo periodo.

    Se non è possibile cambiare lavoro, può essere utile ridurre la potenza degli “stressor” lavorativi.

    Talvolta le persone si sentono stressate sul lavoro quando hanno l’impressione di non riuscire a svolgere le proprie mansioni in modo adeguato. Prese dall’ansia di far bene, si disperdono in mille attività inconcludenti. In questo caso, è fondamentale imparare ad organizzare il proprio lavoro individuando le priorità tra i diversi compiti da svolgere. Potrebbe essere una buona idea redigere quotidianamente una lista dei compiti ordinata secondo le priorità, suddividendo i compiti tra quelli imprescindibili, quelli molto importanti, quelli importanti e quelli opzionali.

    Altre volte il lavoro è “fonte di stress” se la persona non sa bene quali siano le proprie mansioni, magari perché sin dall’inizio non sono state ben definite, oppure se la persona non ha ricevuto una adeguata formazione. In questi casi è importante utilizzare la propria assertività per chiedere  in modo rispettoso (non si vuole creare ulteriore stress innescando conflitti non necessari) dei chiarimenti al capo o al responsabile.

    Un’altra importante strategia per gestire lo stress lavorativo consiste nel imparare a monitorare i propri schemi mentali “catastrofisti”. Questa strategia è particolarmente importante se siete il tipo di persona che al lavoro continua ad avere gli stessi pensieri ansiosi e improduttivi. “Che fatica! Chissà se ce la farò … Mario è più bravo di me e sarà premiato. Invece io verrò richiamato … Questo turno di lavoro non finisce mai!”. Per arginare questa “fonte di stress” interna, occorre addestrarsi ad accorgersi e a prevenire tali schemi mentali.

    E’ utile anche coltivare intenzionalmente la soddisfazione proveniente dall’attività lavorativa. Se la natura del lavoro che si svolge non è tale da fornire gratificazioni o riconoscimenti positivi, è importante imparare a darseli da sé (ad esempio, premiandosi con un week-end di svago dopo un mese di duro lavoro), oppure trovare delle persone amiche capaci di ascoltarci e di fornirci tali riconoscimenti positivi.
     
  • Lo studio.
    Le “fonti di stress” degli studenti sono specifiche alla loro situazione: la tensione degli esami, le aspettative da parte dei genitori, il rischio di fare scelte di vita errate.

    Alle volte gli studenti – della scuola secondaria o universitari – si trovano a dover gestire il peso delle aspettative dei propri genitori che, se da un lato spingono affinché i figli abbiano successo nello studio, dall’altro spesso non riescono a fornire un aiuto concreto per quanto riguarda le attività di studio.

    Talvolta gli studenti vengono lasciati a se stessi e rischiano di perdersi. Per far fronte a questo rischio è importante imparare – compito difficilissimo, me ne rendo conto – a dotarsi da sé della necessaria auto-disciplina. Questa qualità è fondamentale per non farsi risucchiare dalle mille tentazioni della “vita da studente” e per organizzare in modo proficuo il proprio tempo. A questo riguardo potrebbe essere utile dotarsi di una agenda (elettronica o cartacea) dove pianificare le proprie attività e il proprio tempo libero. E, detto per inciso, è sempre meglio sovrastimare il tempo da dedicare allo studio ...

    Importante è anche disporre di un luogo fisico silenzioso dove studiare: una stanza, un angolo di un salotto o, se ciò non fosse possibile presso la propria abitazione, una biblioteca pubblica o la casa di un conoscente che è fuori città per lavoro.
     
  • Il denaro.
    Di questi tempi le difficoltà finanziarie sono diffusamente avvertite e molti possono essere tentati di risolverle assumendo dei debiti senza però aver chiaro come poterli estinguere. Quella che lì per lì può apparire come una via di uscita, in realtà aggrava la situazione finanziaria, perché il debito continua ad aumentare sempre di più, così come lo stress. Un’utile strategia “anti-stress” consiste dunque nell’imparare a distinguere tra le spese necessarie (per cui è ragionevole contrarre un debito) e le spese superflue. E ovviamente, va valutata anche la possibilità di saldare in futuro tale debito in base alle capacità economiche attuali.

    Se si è “sotto stress” per motivi economici, probabilmente si è convinti che la soluzione del problema consista nel guadagnare di più, ma questo probabilmente porterà solamente ad ulteriore stress. Diversamente, potrebbe essere utile imparare a vivere con meno, il che non significa necessariamente vivere in modo austero, quanto piuttosto riflettere sulle proprie spese. Spendere in modo intelligente, utilizzando quella qualità – che oggi ha assunto una connotazione negativa, quasi volgare – e che prende il nome di “parsimonia”.

    La parsimonia sembra essere il naturale antidoto a quell’atteggiamento diffuso oggi per il quale le persone, non importa quanto guadagnino, sembrano riuscire a spendere sempre più di quanto percepiscono.

    Se si è in “stress finanziario” assumere dei comportamenti parsimoniosi qui e là, senza un’efficace pianificazione, può non essere sufficiente. Più che compiere sporadici atti di morigeratezza, è importante redigere un vero e proprio “bilancio di spesa personale” che, redatto almeno una volta al mese, possa aiutare a valutare la propria situazione finanziaria e a apportare, dati alla mano, i necessari aggiustamenti.

    Naturalmente questi accorgimenti richiedono impegno e tempo, ma sono fondamentali se si desidera assumere il controllo della propria dimensione economica e ridurre la quantità di “stress finanziario”.
     
  • Le persone “difficili”.
    Talvolta alcune persone creano dello stress nelle nostre vite ma non possono essere evitate, come, ad esempio, il capo ufficio, un collega fastidioso, un parente “pesante”.

    Queste persone non sono “sbagliate” di per sé, ma, piuttosto, sono in grado di toccare con il loro comportamento, le loro parole, i loro atteggiamenti, con la sola loro presenza, i nostri “punti sensibili”. Fanno scattare in noi delle reazioni negative indesiderate di rabbia, di paura, di risentimento, di invidia e così via.

    Come prima cosa è necessario accettare l’esistenza e la realtà di tali persone. Occorre accettare che sono quello che sono, che non sono per forza “sbagliate” (e noi “giusti”). Di conseguenza, bisogna assumersi la responsabilità personale di imparare a gestire tali individui in modo che siano il meno “molesti” e dannosi possibile. Tentare di cambiarli è spesso inutile. Si rischia solo di coinvolgersi in orribili discussioni senza fine o, peggio, in litigi sterili e dolorosi.

    Preso atto di ciò, sarà consigliabile evitare argomenti di conversazione che possano innescare delle discussioni, quali ad esempio: la religione, la politica, le relazioni intime. Se è la persona “difficile” ad attaccare bottone su uno di questi temi e si vede già dove andrà a parare la conversazione, sarà meglio cambiare argomento o trovare un pretesto per allontanarsi.

    A volte può essere utile confrontarsi in modo assertivo con la persona “difficile” al fine di esprimere i propri bisogni (senza però divenire arroganti). I conflitti possono essere affrontati in modo costruttivo, se si sa come fare e se l’interlocutore ha anche solo una minima disponibilità a mettersi in discussione (come noi). Talvolta vale la pena di provare ad asserirsi. In caso di successo, verranno stabiliti nuovi e più sani confini tra le persone. E ciò si tradurrà in un minor numero di conflitti e, naturalmente, in minor stress.

 
 
Eustress
Come abbiamo visto, la “reazione di stress” ci aiuta a prepararci fisicamente e psicologicamente ad affrontare un problema. Lo stress può essere una buona cosa allorché, nella giusta misura e per periodi di tempo limitati, ci aiuti a superare le inevitabili crisi che la vita ci offre.
 
Se, dunque, la “reazione di stress” porta vigore, entusiasmo e propositività è una buona cosa perché incrementa lo stato di salute generale della persona. In questo caso lo stress prende il nome di “eustress”.
 
L’eccitazione dell’imprenditore che fonda una azienda, le aspettative prima di un primo appuntamento, l’adrenalina dello sciatore sono esempi di eustress, così come l’entusiasmo che si sperimenta quando si affronta una qualsiasi sfida costruttiva o divertente.
 
Se non vi fosse eustress nelle nostre vite, saremmo annoiati, o forse addirittura depressi, senza un motivo per alzarci la mattina. L’eustress ci tiene in salute e felici.
 
La differenza essenziale tra eustress e distress (lo stress cattivo) sta nella percezione della “fonte di stress”. Nel caso dell’eustress la “fonte di stress” viene percepita come una “sfida”. Nel caso del distress, viene percepita come una “minaccia”. Per questo motivo è importante coltivare il proprio atteggiamento di fondo verso la vita come di un luogo di “sfide” piuttosto che di un luogo di “minacce”.
 


Albert Einstein


Come scriveva Albert Einstein nel 1931:
 

“Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia.
Senza crisi non c'è merito. E' nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo.
Invece, lavoriamo duro.
L'unico pericolo della crisi è la tragedia che può conseguire al non voler lottare per superarla.”
Come io vedo il mondo
Albert Einstein

 
Sta a noi coltivare l’atteggiamento giusto.
 
Ti auguro di imparare a gestire lo stress in modo tale che tu possa considerare la vita sempre meno un dramma costituito da fatiche senza senso e sempre più un’avventura ricca di opportunità.
 


Questa pagina è stata visualizzata 13.601 volte.