Adriano Stefani Psicologo

Prima di lasciare il tuo partner, leggi questo articolo

Un’autentica relazione d’amore è quanto di più desiderabile vi sia, ma spesso dopo un po’ di tempo si trasforma in un luogo di sofferenze orribili.

Prima di lasciare il tuo partner, leggi questo articolo

Certo all’inizio la relazione di coppia è una condizione da “rose e fiori” ma inevitabilmente col tempo tende a guastarsi, non dico completamente, ma sovente la gioia iniziale si contamina con sentimenti di delusione e di sconforto, quando più, quando meno.
 
Compaiono i ben noti comportamenti distruttivi che avvelenano l’amore e lo trasformano in un cibo indigesto: il muro contro muro, la punizione del silenzio, gli scoppi aggressivi, le critiche più o meno immotivate, le escalation che lasciano esausti, il tono brusco, l’atteggiamento scostante o imprevedibile, il sarcasmo o addirittura il disprezzo. Il tutto condito da sentimenti di trascuratezza, ansia, solitudine, odio e impotenza.
 
“Come è potuto succedere? All’inizio tra noi c’erano sempre e solo felicità e gioia!”. Ciascuno credeva di aver trovato “l’altra metà della mela”, “l’uomo della mia vita”, “quella giusta”, con cui finalmente condividere l’intimità fisica, emotiva e mentale tanto desiderate. “La persona che mi capisce, quella che mi apprezza e mi ama veramente, che mi sostiene quando le cose si fanno difficili”.
 
E poi “crack!”, giunge la delusione, talvolta inaspettata come un fulmine a ciel sereno, talvolta invece si insinua gradualmente, ma inesorabilmente.
 
Allora la musica cambia. E anche la danza tra i partner, che si fa via via più scomposta e disarmonica: si inizia ad andare fuori tempo, a pestarsi vicendevolmente i piedi, a non capirsi più “con uno sguardo”, ad irritarsi per i passi scoordinati dell’altro, per i presunti errori dell’altro. “Ma insomma, perché non balli più come una volta?!?”.
 
Ci risiamo, l’amore ci ha deluso, forse nuovamente, forse per l’ennesima volta. E si comincia a dubitare dell’esistenza stessa dell’amore, o del proprio giudizio e si finisce per chiedersi: “Perché è così difficile stare in coppia?”.
 
 
La relazione di coppia è una cosa seria
Perché, nonostante il desiderio di essere in coppia, di scambiarsi cure ed amore, molte persone sperimentano sentimenti di sofferenza e di solitudine all’interno della relazione?
 
Come mai è così difficile “mantenersi connessi”, come dicono gli psicologi? Che succede che non si riesce ad ottenere proprio quella condizione di amore di coppia che, paradossalmente, tanto si anela?
 
Alcuni finiscono per concludere che l’amore sia impossibile, che sia un’illusione, una chimera. Altri si considerano sbagliati e si convincono di essere inadeguati, di non avere le capacità per stare in una relazione soddisfacente: “Sono troppo bisognoso, troppo instabile, troppo spaventato, troppo …”. Altri ancora, all’opposto, si convincono di essere talmente elevati e perfetti da non riuscire a trovare un eguale e attribuiscono all’altro le colpe delle difficoltà relazionali.
 
Il fatto è che la relazione d’amore è una “cosa seria” o, come si dice a Roma, è “tanta roba”. È il luogo dove emergono i più nascosti desideri, i più profondi bisogni affettivi e, soprattutto, le più dolorose e irrisolte ferite emotive.
 
La relazione d’amore funziona come una lampadina che viene accesa in una cantina oscura dove abbiamo accumulato oggetti per tutta una vita. Improvvisamente diventano visibili i mobili impolverati, gli sci di una ventina di anni fa, la bici rotta e ragnatele ovunque.
 
Allo stesso modo, in una relazione d’amore emergono e diventano percepibili i sentimenti infantili dimenticati (inconsci): il senso di gelosia per la nascita del fratellino, la paura di restare solo la notte, la sofferenza di sentirsi trascurati dalla mamma che deve andare a lavorare, il senso di inferiorità nei confronti di un genitore percepito come potente e giudicante, i sensi di colpa per aver disubbidito, e così via.
 
In una relazione di coppia, le ferite relazionali dell’infanzia vengono riportate in superficie, nella coscienza, assieme ai bisogni, ugualmente inconsci e dimenticati, di essere curati, rassicurati, amati, protetti. I bisogni infantili insoddisfatti si riaffacciano alla coscienza. E posso garantirvi che ciascuno di noi ha un’infinità di desideri e di bisogni infantili inappagati e repressi, anche le persone più “dure e pure” che fanno mostra di essere indipendenti, forti e autonome (anzi queste talvolta sono le prime a portare dentro di sé una valanga di bisogni infantili insoddisfatti).
 
Non c’è niente di male nel dire e nell’ammettere di avere all’interno della psiche inconscia dei bisogni infantili insoddisfatti. Fa semplicemente parte dell’essere umani e dell’enorme sensibilità che caratterizza la nostra specie, unita allo stato di grande vulnerabilità e di totale dipendenza con cui veniamo al mondo. È qualcosa di bello e di commovente.
 
Il proverbio africano: “Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio” è tanto vero quanto irrealizzabile, specie nelle condizioni di vita dell’Occidentale medio. È un fatto: tutti noi abbiamo subito innumerevoli delusioni e traumi infantili, che ancora portiamo registrati nella psiche. Inutile negarlo.
 
 
Una grande occasione di guarigione
Si diceva, l’iniziale fase dell’idillio romantico è giunta alla sua inevitabile fine e sono emerse le problematiche relazionali irrisolte della propria infanzia. Si soffre, certo, ma è anche una grande occasione per accorgersi di queste ferite psicologiche e per guarirle.
 
“Bene, benissimo, mi hai convinto, lo voglio fare, quali pillole devo prendere?”. Purtroppo non funziona così, la guarigione psicologica non è un processo passivo, un trattamento sanitario per il quale sia sufficiente essere “pazienti” e pazientemente ricevere delle cure. Guarire la propria psiche richiede l’intenzione e l’energia dell’individuo stesso, che partecipando al processo in prima persona, se ne assume la responsabilità e, in base al suo impegno, ne determina l’evoluzione e i tempi.
 
Ciascun partner ha dunque bisogno di auto-osservarsi, di cogliere le proprie sofferenze, di attraversarle e di condividerle con l’altro partner in un uno scambio fatto di intimità e di rispetto.
 
Condizione necessaria è assumersi la responsabilità di ciò che si sente. Solo dopo di ciò, ci si potrà aprire, si potrà mostrare la propria vulnerabilità, si potranno condividere le proprie emozioni di tristezza e di sofferenza e si potrà chiedere aiuto al partner.
 
Più facile a dirsi che a farsi… Perché è normale all’inizio attribuire al partner la responsabilità della delusione che si prova. È normale colpevolizzarlo non appena sorgano i primi problemi nella relazione. Perché? Proprio perché si sta toccando qualcosa di inconscio, che la nostra psiche ha tenuto nel “dimenticatoio” per anni e che non vuole vedere. Così, appena, una delusione, una sofferenza emerge nella relazione di coppia, la prima reazione, nel 99% dei casi, è quella di cercare di riportare immediatamente la sofferenza nel “dimenticatoio” e di attribuire la responsabilità all’altro dicendo: “Non è vero che questa è una mia sofferenza, sei tu che mi stai facendo soffrire!”.
 
Questo meccanismo, che viene chiamato “proiezione”, costituisce l’ABC per uno psicologo e, in sintesi, potrebbe essere riassunto così: “Attribuisco a te la responsabilità di una mia emozione negativa e tu diventi quello da biasimare”.
 
Ecco – e questo è il punto centrale – i partner hanno la magnifica opportunità di andare oltre questo meccanismo di proiezione e di assumersi la responsabilità della propria sofferenza, delle proprie ferite ed in tal modo elaborarle e guarirle. “Meravigliòsso!!!”, commenterebbe il maestro spirituale di mia moglie…
 
Ma c’è un problema, assumersi la responsabilità della propria sofferenza, significa estrarla completamente dal “dimenticatoio”, significa viverla interamente nella propria coscienza, significa attraversare sentimenti di paura, di rabbia, di colpa, di vergogna nella loro completa intensità, senza difese. Significa: lacrime! E in genere le persone non sono desiderose di attraversare una simile sofferenza, anche se poi condurrà alla guarigione emotiva.
 
Più desiderabile e facile – e meno doloroso nell’immediato – è attribuire la colpa della propria sofferenza al partner. Ma in questo modo, la ferita infantile non guarirà e si continuerà a portarla nel proprio inconscio.
 
 
Un esempio pratico
Per non rimanere unicamente su di un piano teorico, voglio ora portare un esempio.
 
Prendiamo il caso della coppia di Guido e Sofia, di cui ho scritto altrove. Verso la conclusione della fase dell’innamoramento (cosa che prima o poi doveva succedere), Guido vive un’intensa delusione: propone a Sofia di andare a vivere insieme in campagna, ma Sofia risponde con un diniego perché, per motivi pratici, le sarebbe molto difficile, se non impossibile, trasferirsi fuori città. La sognante proposta di Guido viene così respinta e questi si sente tradito. Rapidamente, molto rapidamente, il suo sistema emotivo si attiva e gli ormoni messaggeri del pericolo vengono inviati in giro per il suo corpo. Alla beatitudine amorosa di colpo si sostituiscono rabbia e paura. Dall’idillio all’inferno, in pochi millisecondi. Che sta succedendo nella psiche di Guido?
 
Negli ultimi mesi Guido si è profondamente legato a Sofia, ha investito nel rapporto di coppia aprendosi e svelandosi sempre di più. Sofia è gradualmente diventata la persona più importante nella sua vita, il centro del suo mondo relazionale. A fronte del diniego, più o meno ragionato, più o meno considerato, da parte di Sofia, la “ferita abbandonica” di Guido viene sollecitata e risvegliata. A questo punto, una parte antica della psiche di Guido si attiva: il “piccolo Guido”, ferito dal senso di non essersi sentito importante per la mamma, che si prendeva cura anche del fratellino e del papà, si risveglia con tutto il suo impeto infantile.
 
In questo momento Guido si sente profondamente tradito da Sofia, quando in realtà sta rivivendo, senza saperlo, le emozioni del “piccolo Guido”, che si è sentito abbandonato, non curato, non importante per la mamma, qualche decina di anni prima. Ma l’intensità emotiva della delusione è la stessa, ossia, assoluta!
 
L’intensità della reazione comportamentale è proporzionale all’intensità delle emozioni negative che circolano nella sua psiche in questo momento. Di conseguenza, proietta su Sofia la sua frustrazione bambina, arrabbiandosi profondamente con lei, come se lei fosse la “colpevole” del suo dolore. Ma ovviamente non ci sono colpevoli, Guido sta rivivendo una ferita del passato e né lui né Sofia possono essere ritenuti “sbagliati” per questo. Semplicemente succede. E, molto spesso, succede che il partner – in questo caso, Sofia – le cui ferite infantili sono sollecitate a propria volta, reagisca con simile fervore.
 
A questo punto un doloroso litigio è pressoché assicurato.
 
Ecco però che Guido, se sufficientemente consapevole, potrebbe progressivamente assumersi la responsabilità di ciò che sta sentendo e affrontare le intensissime emozioni del “piccolo Guido” al fine di guarire la sua ferita abbandonica.
 
Espresso così sinteticamente, il processo di guarigione delle ferite infantili potrebbe apparire lineare, facile e breve, ma la realtà dei fatti è che tale processo non è nulla di tutto ciò: è complicato, duro e lungo. Per questo motivo, ed anche perché molte persone ignorano completamente questi principi del funzionamento emotivo umano, spesso ciò che ne consegue è che i partner, invece di cogliere l’opportunità di auto-guarirsi, si ostinano a colpevolizzarsi l’un l’altro, quando invece, la coppia potrebbe essere il luogo dove poter condividere le proprie sofferenze, essere accolti ed evolvere psicologicamente più velocemente che non da soli.
 
Per tale motivo sto scrivendo questo articolo: per informare della possibilità di auto-guarirsi in coppia e della possibilità, se non si riesce a fare ciò autonomamente, di utilizzare la psicoterapia di coppia, un luogo dedicato alla guarigione della relazione di coppia mediante la guarigione individuale.
 
 
Prima di lasciare il tuo partner leggi questo
D’accordo, non ce la fai più e vuoi solo uscire dalla relazione. Sei stremato, esasperato, esasperata, hai tentato “tutto ciò che è umanamente possibile”, ti dici, “Siamo incompatibili”, ti dici. Comprendo appieno il tuo stato d’animo: non si soffre mai così tanto di solitudine come in coppia, quando questa è disconnessa.
 
Comprendo, l’unica cosa che vorresti a volte, o forse addirittura in questo momento, è porre fine all’inferno che tu e il tuo partner state vivendo.
 
Prima di agire, tuttavia, ti suggerisco di approfondire i seguenti spunti di riflessione:
 

  • È normale vivere momenti di sofferenza. Stai soffrendo come un cane proprio perché la cosa è seria, perché la relazione è seria. Non è vero che se si sta male significa che “l’amore è finito” o che la relazione sia in qualche modo sbagliata. Se la relazione non fosse così importante, sicuramente soffriresti di meno, ti arrabbieresti di meno, ti indigneresti di meno. Ma, come abbiamo visto, la relazione, quando è autentica, è capace di far emergere le vere e più profonde ferite emotive sepolte nell’inconscio della tua psiche, spesso dai tempi dell’infanzia. Di conseguenza, è normale essere così emotivamente sofferenti quando ci si trova in una relazione autentica.
     
  • La separazione è davvero necessaria? Talvolta la fine di una relazione di coppia è davvero necessaria, è la cosa ragionevole e costruttiva da fare. Ciò è il caso, ad esempio, quando l’allontanamento emotivo si è compiuto oramai da anni e non vi sono più emozioni né drammi tra i partner: è rimasta solo l’indifferenza. Oppure quando i partner hanno dei progetti completamente inconciliabili, ma che ritengono fondamentali per la propria evoluzione individuale, come quando un partner vuole assolutamente avere un figlio e l’altro invece no, o quando un partner vuole vivere in Australia e l’altro in Lapponia. Più spesso, però, i partner decidono di lasciarsi perché non riescono a tollerare la sofferenza emotiva che scaturisce dallo stare insieme. La domanda è dunque: sto lasciando il mio partner perché siamo oggettivamente su due strade diverse o perché non voglio affrontare le tribolazioni emotive che la relazione sta risvegliando?
     
  • È un’occasione di crescita individuale. D’accordo, le tue più profonde insicurezze sono emerse, ti senti solo, sola, impotente. È arrivato il momento di occuparsi di queste ferite infantili, di elaborarle e di guarirle! Puoi guardare queste ferite, entrarci dentro, elaborarle e trasformarle. È l’occasione per crescere e per liberarsi di alcuni traumi infantili. Se ti serve l’aiuto di uno psicologo per procedere in questa direzione, ben venga! Non è una sconfitta, anzi, è il segno che stai facendo sul serio per guarire te e la tua relazione.
     
  • Forse è arrivato il momento di crescere, di evolvere psicologicamente. È possibile rimandare, ma è utile? Probabilmente no, forse è arrivato il momento di prendersi cura della crisi di coppia. Verosimilmente, non lo so con certezza, non ho la sfera di cristallo, se stai leggendo questo articolo in un sito di psicologia, sei sufficientemente maturo, matura per affrontare le emozioni represse infantili che si stanno liberando dal tuo inconscio, insieme a tutte le convinzioni negative su di te, sull’altro e sul mondo. È un momento “tosto”, certo, ma probabilmente ti sta succedendo ora, perché ora sei in grado di farvi fronte. Ovviamente, puoi rinviare, puoi uscire dalla tua relazione e iniziarne un’altra che, come spesso avviene, all’inizio apparirà “perfetta”, per poi ripresentare le stesse difficoltà, gli stessi atteggiamenti critici da parte del nuovo partner, gli stessi sentimenti di incomprensione e di solitudine, e così via. Certo, puoi decidere di cambiare “territorio”, ma sappi che le difficoltà, i tuoi nodi interiori irrisolti, si ripresenteranno. Vale davvero la pena di posporre il momento di crescere psicologicamente?
     
  • Un tradimento non equivale necessariamente alla fine della relazione. Mi riferisco, ovviamente, alle coppie monogame (che rappresentano la quasi totalità delle coppie), per le altre non si pone affatto il problema (in teoria). In caso di rapporto monogamico, in cui si sia stabilito di avere un rapporto esclusivo tra i partner, tradire il proprio partner, che dovrebbe rappresentare la persona che si ama e si rispetta di più al mondo, è una cosa orribile ed estremamente dolorosa per chi riceve il tradimento (ma spesso anche per chi lo commette). Tuttavia, come psicoterapeuta ho sperimentato personalmente che la riappacificazione è possibile. Il punto fondamentale è comprendere i motivi che hanno portato al tradimento, perché a monte di un tradimento c’è spesso una condizione di lontananza emotiva tra i partner. La relazione deve dunque cambiare, i partner devono ritrovare, o costruire ex novo, una relazione di intimità emotiva affinché il tradimento non si ripeta. Ed inoltre, il partner che ha tradito deve poter comprendere appieno la sofferenza che il partner tradito ha provato, deve rammaricarsene sinceramente e ottenere quello scatto di coscienza che gli impedirà in futuro di provocare nuovamente un simile dolore al proprio amato.
    La riconciliazione è dunque possibile, ma solo a seguito di una profonda elaborazione dei fatti e di conversazioni davvero intime.
     
  • È risolvibile. Se c’è la motivazione da parte di entrambi i partner, è possibile affrontare la crisi di coppia, ma occorre individuare i giusti strumenti. Certo, se i partner si trovano bloccati in dinamiche di coppia dolorose e che appaiono impossibili da superare, ma hanno la motivazione a prendersi cura del problema, sono già a metà dell’opera. Naturalmente occorre fare qualcosa di diverso da ciò che è stato fatto finora. Occorre impadronirsi di nuovi strumenti per comprendere sé stessi, l’altro e per migliorare la comunicazione. Al di là della psicoterapia di coppia, vi sono libri di auto-aiuto da leggere insieme, articoli su Internet, seminari specifici e dedicati al miglioramento delle relazioni di coppia.
     
  • Occorre riflettere a fondo prima di agire. In genere, è più facile distruggere qualcosa o costruirla? Quanto tempo ci vuole per distruggere una casa e quanto per edificarla? Evidentemente, è più facile e rapido distruggere una relazione che costruirla. Per cui, prima di porre fine alla tua relazione è sicuramente opportuno riflettere attentamente. Riflettere rappresenta un modo di procedere protettivo per te e per tutte le persone coinvolte.
    Una separazione spesso coinvolge altre persone ed altri fattori. Vi possono essere dei beni, una casa, un’auto, un’azienda in comune che, separandosi, potrebbero dover essere venduti, con una probabile perdita economica. Se vi sono dei figli in comune questi potrebbero trarre vantaggio dal rinnovato clima di pace (spesso apparente) tra i genitori, si sa, tuttavia trarrebbero il massimo del vantaggio da una coppia di genitori capaci di andare d’accordo e di rimanere insieme scambiandosi amore. Una separazione, al di là del sollievo per la fine della dimensione più visibile del conflitto di coppia, è sempre un trauma per i figli, specie se piccoli. Di conseguenza, prima di uscire dalla coppia, aspetta, rallenta e rifletti. Agire d’impulso può provocare danni economici e danni emotivi a tutta la famiglia.

 
Se dopo aver attentamente riflettuto, hai compreso che è bene che la tua coppia giunga al termine, ti segnalo comunque la possibilità di utilizzare durante il processo di chiusura la figura professionale del Mediatore familiare, che si occupa di facilitare il dialogo nelle coppie dove vi sia una chiara volontà di separarsi. Il Mediatore familiare, spesso un avvocato, ha una specifica formazione nel promuovere decisioni costruttive da parte dei partner che, nel corso della separazione potrebbero invece farsi prendere dall’emotività e perdersi in una serie di litigi e di ritorsioni, per divenire, non così raramente purtroppo, estremamente distruttivi e auto-distruttivi. Ciò, si comprende bene, è da evitarsi specie dove siano presenti dei figli che, coinvolti nella guerra fra i genitori, potrebbero essere portati a schierarsi con uno dei due genitori, con grave danno al loro sano sviluppo psicologico.
 
Se, invece, dopo aver riflettuto, hai compreso di aver bisogno di guarire le tue ferite psicologiche e di affrontare la crisi di coppia al fine di sviluppare un nuovo e più intimo modo di stare insieme, sono molto felice per te! Se avrai bisogno, nel portare a compimento questi delicati compiti, di un aiuto professionale, ti informo che in Italia sono presenti diversi colleghi psicologi – che fortunatamente stanno progressivamente crescendo di numero – specializzati nel trattamento delle coppie con il metodo, validato dalla ricerca, denominato EFT - Emotionally Focused Therapy for couples, la psicoterapia di coppia focalizzata sulle emozioni.
 
Ti auguro di sciogliere sia i tuoi nodi personali sia i nodi della relazione di coppia, anche perché spesso questi processi si equivalgono.


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